Migliaia di ragazzi “svaniti” dalle lezioni online. Luigi Berlinguer: «Povertà ed esclusione sociale generano la fuga dalla scuola»; Luciano Canfora: «Contro la catastrofe in cui scivoliamo, c’è un unico rimedio: rivoltare il bilancio dello Stato»; Gaetano Domenici: «L’abbandono scolastico testimonia l’incapacità di creare condizioni di inclusione di qualunque provenienza sociale e culturale». La mobilitazione degli insegnanti, in prima fila il Comitato “La scuola è una priorità”

L’inchiesta di ANNAMARIA SERSALE

Si rincorrono le ipotesi. Conte ter, rimpasto, esecutivi tecnici, governi di scopo o di legislatura, in extremis elezioni. Con la maggioranza divisa non decolla il progetto sull’utilizzo del Recovery fund, che dovrebbe essere destinato alle nuove generazioni. Se l’Italia non riesce a guardare al presente, figuriamoci al futuro. Rischiamo di perdere una generazione di adolescenti e la politica non fa nulla per evitarlo. 

Migliaia di ragazzi sono “svaniti”, non partecipano alle lezioni online. Il virus morde, e dopo le vacanze quasi ovunque è ripartita la didattica a distanza, che rende tutto più difficile. A mancare all’appello sono soprattutto i più fragili e problematici. Per la fine dell’anno scolastico si prevede un forte aumento degli abbandoni (Italia Libera lo aveva anticipato in un articolo del 20 dicembre scorso).

Perché l’abbandono da noi è un male endemico? Perché, tra i tanti princìpi dichiarati inalienabili, proprio le pari opportunità non sono garantite a tutti? Luigi Berlinguer, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dal 1996 al 2000, l’uomo che più di ogni altro si è battuto per l’estensione dell’obbligo scolastico: «Non basta la scuola, devono concorrere tutte le istituzioni coinvolte − osserva Berlinguer −; non è pensabile che la scuola da sola possa combattere questa battaglia. Contro la povertà e l’esclusione sociale, in buona parte causa della fuga dai banchi, occorre una politica complessiva».

La scuola italiana, purtroppo, è la più disuguale d’Europa. È quella in cui i rendimenti scolastici dipendono più che in ogni altro Paese dalle condizioni socio-economiche della famiglia. C’è un rimedio? «Contro la catastrofe nella quale stiamo scivolando − sostiene Luciano Canfora, professore emerito di filologia greca e latina dell’Università di Bari, scrittore e saggista, direttore dei “Quaderni di storia” − c’è un unico rimedio: bisogna rivoltare il bilancio dello Stato, nessun governo lo ha fatto. Ancora oggi la scuola pubblica è tenuta in una posizione marginale. Non si è investito. E ora non è più rinviabile, bisogna raddoppiare, quadruplicare gli investimenti per l’istruzione, come hanno fatto i Paesi più civili del nostro. Abbiamo un corpo docente fragile, che la preparazione se la deve fare da solo. E che non ha neppure un salario dignitoso». Anche le strutture, molte in condizioni di degrado e non a norma, richiederebbero ingenti investimenti, soprattutto nei territori più a rischio. 

In Italia la scuola è un bene pubblico, ma non riesce ad essere inclusiva ed egualitaria. Un problema rilevato anche da una indagine svolta dalla Camera dei deputati nel 2014, da cui emerse che da noi i tassi di ritardo, di insuccesso e di abbandono scolastico sono tra i più alti d’Europa, circa il doppio di quelli previsti dagli obiettivi europei per il 2020. «Gli indici più elevati riguardano le fasce più deboli −  afferma Gaetano Domenici, professore ordinario di pedagogia dell’Università Roma Tre −; questo testimonia l’incapacità del nostro Paese di creare le condizioni per favorire l’inclusione sociale e culturale di ognuno, qualunque sia la sua provenienza sociale».

Ora alcune associazioni di professori si sono mobilitate, in prima fila il Comitato “La scuola è una priorità”. Da un capo all’altro d’Italia gli insegnanti si interpellano e dicono che il disastro riguarda tutte le regioni, con picchi pazzeschi al Sud, dove, già prima del Covid, un ragazzo su tre abbandonava gli studi. Una deriva, cui non si è giunti all’improvviso, ma dopo una lunga incubazione. Una deriva, questa, che ha trascinato con sé i concetti di equità, parità e giustizia, a danno delle giovani generazioni e del Paese. «L’abbandono − sottolinea Berlinguer − è anzitutto una sconfitta, una fuga, un insuccesso che il ragazzo pagherà a caro prezzo. Un giorno dovrà scegliere come collocarsi nella vita e nel lavoro; se rinuncia alla preparazione, tutto questo sarà in pericolo, in lui resterà una ferita aperta. Non basta indicare le carenze e mettere “a posto” la coscienza con un 4 come voto. Dovremmo intervenire per il superamento tempestivo delle difficoltà di apprendimento, perché i ragazzi non abbandonino la scuola».

Detto questo, il governo (presente e futuro) dovrebbe finalmente mettere la scuola al centro dell’agenda politica, considerando che gli investimenti nell’istruzione e il grado di sviluppo economico del Paese sono strettamente connessi.