Eppur bisogna andar. Canterei anch’io con Gianni Cuperlo “fischia il vento”, per farmi coraggio. Egli lo fa con un libretto molto denso, forse un pochino troppo, ma ricco, per questo non facile, ma pieno di fatti e di pensiero, e sottopone a critica il mondo della sinistra, conservando però una viva dose di speranza, per cui la critica, anche molto severa, non è mai destruens. Racconta di vivere “nell’inverno dell’amarezza” e parla del nostro scontento, con velature persino di tristezza, ma teso a trasformarsi in spinta, ad eliminare il rischio di passività. Perché – dice – la sinistra “torna sempre a camminare” e continua a scorrere, è un torrente, il suo collasso non è reale, è virtuale.
Lo stato d’animo di Cuperlo è quello dell’inverno, “dove fa buio presto” e tutto è doppiamente difficile. Ma allora, dove piazzarsi, scegliendo fra l’amarezza e un’altra parte? Lui sceglie nettamente l’altra, cioè camminare nella e con la sinistra, una posizione netta rispetto a quelli che chiama i “separati”. Definisce fermamente la scissione “separazione senza pathos” e non la sceglie perché giudica quell’operazione politica uno sbaglio. Tuttavia non vuol chiudere nei confronti degli altri ma vi connette un imperativo secco: la sinistra deve cambiare.
Deve intanto tornare a pensare! Cioè a inventare innovazioni radicali profonde, a immaginare “il dopo”. Anche se mi pare che Cuperlo rilutti a formularla drasticamente, colgo una sua esigenza che si debba rivedere il bagaglio teorico storico della grande invenzione del Socialismo. Per indicare il futuro si serve del pensiero del grande matematico B. De Finetti che ha parlato di utopia e ironizza su coloro che rifiutando l’utopia sono da considerare proprio per questo più utopici degli altri . La sinistra deve discutere su se stessa, non con nostalgia o sentimentalismo, ma “impugnando la speranza dal verso giusto”, quello politico e ideale, costruttivo.
Il libro si cimenta anche concretamente elencando i temi di classe dell’iniquità, e criticando l’ottimismo di maniera con cui la borghesia diffonde la sua immagine della “società del benessere” e dell’attuale ripresa economica, segnata invece dall’iniquità, ripresa “senza lavoro”. Il libro parla anche di “mitologia economica” della destra, e critica senza riserve la disciplina economica nella quale ha prevalso l’esigenza della politica.
Per le imprese negli ultimi 25 anni sono più che raddoppiati gli utili, la ricchezza USA è aumentata di otto volte, mentre il lavoro non è aumentato affatto. Proprio perciò non si può abbassare la guardia nei confronti della destra, che ha oggi meno propensione ad un esito tirannico della sua tradizionale vocazione politica, perché è invece saldamente insediata all’interno della società. È destra, questa, che calpesta le virtù repubblicane e di fronte alla disuguaglianza si nasconde, dissimula la sua natura reazionaria. Oggi non è la destra nostalgica di Predappio che preoccupa, ma la sua azione concreta contro la parte più debole della società.
Da tutto questo deve partire la scelta di fondo della sinistra. Anzitutto l’eguaglianza, ma non quella solo scritta o recitata, bensì quella effettuale. Ecco il punto dirimente; la sinistra ha oggi una reazione debole (dice Cuperlo), lascia a casa i voti, pare che rinunci a combattere all’altezza dei suoi compiti, di fronte a una destra così insidiosa. A sua volta il partito democratico, astenendosi, non assume una posizione realmente progressista e anche in questo caso la sinistra deve cambiare. Essa, cioè, non può più essere retta da un partito vecchio, debole strutturalmente, insufficiente teoricamente, superato e antiquato.
La sinistra deve innanzitutto interpretare l’ira sociale, il malcontento e l’insoddisfazione derivanti dall’iniquità, in particolare nel mondo dei poveri. Pertanto è necessario opporsi a questo assetto sociale, avendo per obiettivo il superamento dell’ineguaglianza e delle disparità ingiuste, causa tra l’altro anche di inefficacia nell’economia, con conseguenze per tutti, non soltanto per i più deboli. Occorre quindi ripensare la sintesi, il quadro teorico generale: chi siamo (direi io), e non solo che cosa vogliamo. Una difficilissima decisione, che assolutamente non può venire dall’alto.
In tal modo va organizzato il “ripartire”. Ma insieme e non con una sola forza politica, che da sola non sarebbe in grado di farlo; e ancor meno con un “partito unico della sinistra”. Bisogna “uscire dallo scontento”, se ci si vuole attrezzare per vincere: questa forse è la prima volta che sento dire una tal cosa. Vincere, appunto. E questo comporta apprestare teoricamente e strutturalmente le condizioni per vincere, anziché cercare continuamente il colpevole, per costruire una situazione corale fra diversi; “rammendare una tela tessendola da capo”.
Verso la fine del libro si torna ad enunciare l’imperativo categorico “davanti ad un bicchiere” (così scrive), intonando eppur bisogna andar. Bisogna. Non senza, però, avere nel frattempo coltivato dottrina, articolazione di analisi e del pensiero, strutturazione del partito. Una cosa seria cioè. Anche questo è Gianni Cuperlo: invoca e pratica la dovuta serietà della preparazione personale e dell’elaborazione collettiva. Per fare una sinistra vera occorre conoscerne la storia: analisi teoria idee. A seguire Gianni Cuperlo insiste sulla “coralità”: è retorico il solo richiamo all’unità, che non può essere fittizia; bisogna comprendere e comprendersi, occorre una teoria condivisa. Vorrei precisare, però: l’unità è comunque necessaria, altrimenti si va incontro all’insuccesso.
Il successivo suo richiamo è a quella che definisce la “ libertà dei moderni”: non ci si può limitare negli attuali confini, anche perché la sinistra italiana ha una storia, personaggi, elaborazione, una sapienza civile, radici lontane. Ma allora, avendo questo patrimonio, perché arrendersi? NO! è il suo grido sussurrato. No. Va completato il sentiero dell’altissima montagna da scalare e abbandonata la smisurata ambizione di volere un partito unico dei progressisti italiani, progetto “ormai spento”. Egli suggerisce di dedicarsi ad organizzare il “campo possibile” (sua definizione) .
Così come viene presentata, una tale indicazione strategica è politicamente molto concreta e culturalmente motivata. Credo che susciterà reazioni consensi dissensi. Del resto, ci sono oggi le condizioni per presentare un progetto “temerario”, come lo chiama Cuperlo, di unicità del partito? Restano comunque obiezioni possibili: non ci si può nascondere ad esempio che la sopravvivenza di più entità politiche “di sinistra” possa alimentare logoranti concorrenzialità e nazionalismi di partito. Non sarebbe la prima volta. E inoltre, esistono nello schieramento progressista forze sufficienti in grado di produrre un’elaborazione ed un’emozione di così alto livello? Non va poi trascurato che tutto ciò non si può svolgere in un ambito solo nazionale, atteso che la crisi della sinistra ha investito ormai tutti gli stati europei.
Ma Cuperlo va anche oltre: non si può riallocare la sinistra nell’ambito del corso della stessa sinistra che va invece esteso “al mondo”; né si può proseguire il cammino “nelle vecchie scarpe”.
Qualunque sia l’esito delle imminenti elezioni, è indispensabile preservare la trama del dialogo per il dopo (sono tutte sue parole): un patrimonio ed una storia da salvare con un’azione collettiva. Tanto profondo è il cambiamento invocato quanto poco traumatica è la metodologia proposta di azione e di lotta. Egli è contrario ad una “costruzione artificiale dell’altro”, ad ogni tipo di schematismo; si affida alla libera dialettica delle risorse esistenti, alla loro potenzialità creativa, all’esito positivo del loro cimentarsi “dal basso”. Un ragionare così radicale del libro è affidato ad una scrittura colta e ricca, incisiva, un po’ difficile, piena di suggestioni. C’è fiducia nell’esigenza di costruire una nuova teoria e nella consapevolezza presente nei soggetti politici principali che si tratta di un’operazione irrinviabile. In tutta Europa. Ce la faremo? Partirà questa grande avventura rivoluzionaria? Difronte a questi interrogativi si affaccia ogni tanto nel lettore timoroso qualche dubbio timido ed esitante. Ma Cuperlo incalza. Oltre alla profondità di questo pensiero sono le procedure proposte a spingere per vincere: “siamo obbligati a procedere”, perché è della sinistra il procedere, dato che essa non può abbandonare i tanti che hanno bisogno di lei. Non ci si lascerà distrarre, anche se … infuria la bufera… Eppur bisogna andar.
Sinistra e poi: Come uscire dal nostro scontento donzelli editore 2017